La cronaca di questi giorni, soprattutto nella capitale, ha evidenziato diversi episodi di intolleranza.
Prima il Pigneto, dove alcuni italiani hanno sfasciato i negozi di tre immigrati.
E subito tutti a dar la caccia ai razzisti, poi viene fuori che alla guida di tutto c’è uno che ha l’effige di Che Guevara tatuata su un braccio e dunque non deve (non vuole) essere considerato razzista.
Come se il razzismo fosse prerogativa della destra.
Poi c’è l’altro caso, quello della Sapienza (che ormai sa solo di rancido), dove si sono riviste un po’ le scene del gennaio scorso.
Il Preside della facoltà di lettere aveva autorizzato una conferenza con tema Foibe. i collettivi di sinistra, si sono opposti anche strappando i manifesti della conferenza. Ne è sorto un tafferuglio che alla fine ha portato a processo due dei collettivi assieme a quattro di Forza Nuova.
Alla fine lo stesso Preside è stato minacciato proprio per questa autorizzazione.
Come se la cultura dell’ateneo più grande d’Italia debba appartenere ad una sola parte e chiunque osi presentare visioni alternative alle loro è da considerarsi come nemico.
Non è forse una terrificante forma di razzismo considerare meno gravemente un atto compiuto da chi ha il Che tatuato sul braccio piuttosto che da una qualunque altra persona?
Non è forse una forma di razzismo ancora peggiore impedire violentemente di parlare a chi ha idee difformi dalle proprie?
Nel secondo caso più che di razzismo parlerei proprio di fascismo.