Immigrati.

Perseverate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale.

Queste sono parole dal capitolo 13 della Lettera agli Ebrei.

Mi pare possa essere una buona premessa per un post sull’immigrazione, per dire che qui nessuno vuole tenere lontane queste persone da casa propria.

Mi è capitato un giorno in negozio un uomo di colore proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, ci siamo messi a chiacchierare ed alla fine l’ho invitato a pranzo.

Lui era in Italia con un visto turistico e faceva il vu-cumprà, la moglie e la figlia in Inghilterra dove lei è avvocato ma sfruttato da uno studio legale (succede anche da noi per gli italiani durante il praticantato).

Io ritengo che qualunque politica seria di immigrazione, non buonista né tantomeno razzista (perché chi ritiene di dare maggiori diritti agli immigrati lo fa perché in fondo li considera inferiori), debba fare seriamente i conti con le aspettavite tanto degli italiani quanto degli stranieri.

La prima cosa da fare è capire perché ci sono persone che abbandonano le loro case, le loro famiglie, il loro Paese per raggiungere -con tutti i rischi ed i costi che ci raccontano le cronache- l’Italia e l’Europa.

Ci sono certamente casi di dittature, di guerre, di diritti violati e qui la politica italiana non può esimersi dall’intervenire direttamente e tramite gli organismi internazionali affinché cessino queste situazioni. Perché per ognuno che raggiunge le nostre rive ce ne sono mille che non possono fuggire.

Ci sono situazioni di carestia, di mancanza di lavoro, di problemi economici. E su questo l’Italia è chiamata ad aiutare a risolvere il problema dove sorge anche tramite la cooperazione oppure tramite aziende italiane che possano operare con reciproca soddisfazione in quei territori.

Nessuna politica di immigrazione può partire se non si cerca di ridurre le cause stesse della migrazione.

Dopo aver fatto tutto il possibile per ridurre i flussi migratori in uscita dagli altri paesi è il momento di regolamentare i flussi migratori in ingresso.

Per molte aziende (come anche per molte famiglie) gli stranieri sono indispensabili perché compiono i lavori che molti italiani non vogliono più. Però le aziende devono farsi carico di questi operai, non possono limitarsi a sfruttarli. Io ritengo che per dovere sociale, morale (ed anche economico volendo) un’azienda debba premurarsi che i propri dipendenti abbiano una dimora dignitosa. Ammettere in Italia solo coloro che hanno una casa ed un lavoro riduce notevolmente il rischio che poi questi uomini e donne finiscano nella piaga del lavoro nero o ancora peggio della criminalità organizzata.

Aprire le frontiere a tutti, senza i debiti controlli in ingresso, porta all’arrivo in breve tempo dei criminali che si nascondono in mezzo ai veri bisognosi. Questi criminali fuggono dalla giustizia nel loro Paese per iniziare a praticare l’ingiustizia nel nostro, magari proprio sulle spalle delle persone per bene che cercano lavoro e felicità da noi. E magari dopo averli sfruttati in casa, dopo averli sfruttati nel viaggio li sfruttano anche qua.

Debellare la piaga (più per loro che per noi) dell’immigrazione clandestina riportando i processi migratori in un quadro di legalità diffusa è dovere di ogni Paese civile. Questo porta ad un mantenimento del benessere del Paese accogliente, ad una conquista del benessere degli immigrati regolari, al contrasto della criminalità organizzata che inizia a perdere fonti di reddito e manodopera a basso costo.

Ed in questo quadro deve essere anche compresa tutta la parte sociale della normativa come ad esempio il ricongiungimento familiare. Anche in questo caso comunque non deve essere prevalicato il diritto, perché se in Italia la norma prevede una sola moglie per ogni marito non deve essere possibile ricostruirsi in Italia una famiglia poligamica aggirando le norme.

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